Produzione dell'aceto balsamico: ecco come avviene

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La produzione dell’aceto balsamico è una pratica molto antica ed affascinante e dà origine a questa eccellenza gastronomica che si sposa meravigliosamente al Parmigiano Reggiano DOP di nostra produzione. Passiamo ad analizzare brevemente le fasi che caratterizzano la produzione dell'aceto balsamico per renderle accessibili anche ai non addetti ai lavori.

Questo, invece, è l'approfondimento in cui trattiamo in maniera più specifica l'abbinamento tra Parmigiano Reggiano DOP e Aceto Balsamico.

Cottura del mosto

Cenni su ingredienti e caratteristiche

  • L’aceto balsamico si ricava dal mosto d’uva, un prodotto non fermentato ottenuto dalla pigiatura, o torchiatura, degli acini d’uva. Quello utilizzato per l’aceto balsamico, deve provenire esclusivamente da sette vitigni specifici, ovvero Lambrusco, Sangiovese, Trebbiano, Albana, Ancellotta, Fortana e Montuni.
  • Il mosto viene successivamente bollito. Questa operazione si esegue tra settembre e ottobre (dopo la vendemmia), in vasi aperti, a fuoco lento, a una temperatura compresa tra 85 e 90°C fino a quando la concentrazione del mosto non si sarà ridotta di almeno la metà. La durata del processo di cottura varia a seconda del tipo di aceto balsamico che si vuole ottenere. Nel caso del processo tradizionale, è compresa tra le 24 e le 36 ore e la concentrazione del mosto ammonta a circa 35-36° Brix, unità di misura che descrive il contenuto di zucchero. 1° Brix equivale ad un contenuto di circa 8 g di zuccheri in 1 litro di mosto.
  • Rispetto alla quantità totale, la percentuale minima di mosto d’uva da utilizzare nel prodotto finale è pari al 20%, alla quale verranno poi aggiungi aceto di vino, più circa il 10% di aceto vecchio di almeno 10 anni.
  • Per stabilizzarne il colore, è possibile aggiungere caramello fino a un massimo del 2% del volume del prodotto finito.
  • Non è consentita l’aggiunta di qualsiasi altra sostanza.

Acetificazione

L’elaborazione dell’aceto balsamico viene eseguita con il classico metodo di acetificazione mediante colonie batteriche selezionate oppure attraverso l’acetificazione cosiddetta lenta in superficie o lenta “a truciolo” (così definita perché per praticarla si utilizza un tino di legno che, sulla parte inferiore, è munito di una grata e che viene riempito di materiale poroso sul quale vengono collocati gli acetobatteri).

Gli acetobatteri, dal latino Acetobacter, sono un genere di batteri che hanno la capacità di trasformare l'etanolo in acido acetico, in presenza di ossigeno. In entrambi i casi l’acetificazione avviene all’interno di barili, botti o tini di legni pregiati che normalmente vengono posizionati nelle classiche “acetaie”, collocate nelle soffitte degli edifici così da consentire all’umidità, tipica di tali ambienti sia in inverno che in estate, di sostenere al meglio il processo chimico che porta al risultato finale.  

Affinamento

La fase successiva è quella dell’affinamento e avviene sempre all’interno di barili o botti o tini della stessa tipologia di quelli della fase di acetificazione. Il periodo minimo di affinamento è di 60 giorni, conteggiati a partire dal momento in cui le materie prime, miscelate tra loro nella giusta proporzione, sono avviate all’elaborazione. Al termine dell’affinamento, il prodotto ottenuto viene sottoposto a un esame, analitico e organolettico, affidato a un gruppo di tecnici e assaggiatori esperti.  

Botti, Barili e Tini

Come accennato, le botti possono essere realizzate con tipi di legno che differiscono l’una dall’altra. Alcuni sostengono che la scelta del legno si basi su motivazioni precise ma, a quanto pare, l’utilizzo di legni differenti pare sia dettato da circostanze storiche praticamente casuali.

Acetaia a Camposanto

Nel modenese le botti erano per lo più in rovere, gelso o, raramente, in ginepro. C’erano poi, in alternativa, le botti in castagno, dalla tipica forma allungata, spesso utilizzate per i vini da trasporto che, non appena iniziavano a mostrare difetti derivanti dall’usura, venivano impiegate per l’aceto.   Inizialmente, quindi, le botti usate nelle batterie di aceto balsamico erano botti di riciclo, quindi realizzate con legni diversi. Solo con il tempo è risultato evidente che nel corso della lunga fase di invecchiamento, il prodotto all’interno delle botti, assimila in maniera cospicua le caratteristiche della tipologia del legno in cui viene conservato e per questo motivo la differenza tra un tipo di legno e l’altro può essere importante al punto da incidere sulle sfumature aromatiche del prodotto finale.

Così come nel caso del legno di ciliegio, che è stato inserito solo di recente. Pur non essendo un tipo di legno tradizionale per le botti di acetaia, se ne è riscontrato un persistente e gradevole gusto dolce e mandorlato rilasciato nell’aceto in esso contenuto.   Attualmente il legno più utilizzato per la prima fase di invecchiamento dell’aceto balsamico è il rovere, un legno acido; a seguire ci sono il castagno e il gelso, che sono legni più neutri e porosi, pertanto ideali per lasciare respirare il prodotto.

Il ginepro, invece, rilascia all’aceto un gusto deciso in qualità di legno resinoso quindi pungente. Un aceto balsamico invecchiato nelle botti di ginepro può essere pronto per il consumo dopo circa 40 anni di stazionatura. Le batterie classiche e storiche si riconoscono perché sono composte da una lunga serie di barili di grande capacità e dal caratteristico rivestimento. Ciò deriva dal fatto che dopo qualche secolo di utilizzo, il legno comincia a sfaldarsi a causa dei processi chimici enzimatici che lo portano ad essere quasi torbato.

Per questo motivo un tempo i bottai rivestivano la vecchia botte con una nuova, in una specie di camicia, così da poter continuare ad utilizzare quella originale senza dover ogni volta perderne gli aromi e i profumi. A volte arrivavano a creare attorno alla botte iniziale, fino a tre strati di camicia.  

Invecchiamento

Una volta trascorsi 60 giorni di affinamento, l’aceto balsamico può essere sottoposto a un ulteriore periodo di invecchiamento. In questa fase l’aceto rimane all’interno di barili o botti delle stesse dimensioni e senza travasi.

Se questa fase si dilunga per più di tre anni, il prodotto finito può essere classificato come “invecchiato”.   Durante la fase di invecchiamento il prodotto viene travasato dalla botte più grande (quella usata per l’acetificazione) a una botte progressivamente più piccola. Ad ogni “passaggio di botte” corrisponde una naturale diminuzione della quantità di aceto dovuta a evaporazione e fermentazione.

operazioni di travaso

Il disciplinare di produzione definisce in 12 anni di invecchiamento il periodo minimo per garantire un prodotto sicuro e riconosciuto come tale in tutte le sue caratteristiche e “di valore”, ma esistono acetaie che propongono serie limitate di aceti balsamici invecchiati anche fino a 25 anni e oltre. Il parametro principale che caratterizza il tempo di invecchiamento dell’aceto balsamico è la densità: un aceto “extra-vecchio” (minimo 25 anni) è più denso di un aceto “affinato” e, naturalmente, pesa leggermente di più.

È però doveroso specificare che non è la densità la caratteristica fondamentale di un buon aceto balsamico poiché più è denso e più si perde parte della caratteristica tipica di acidità; pertanto, un aceto “troppo denso” non rispecchia la tradizione (e non risulta essere un prodotto sano).  

Confezionamento

Una volta ottenuta la tipologia di aceto balsamico desiderata, il prodotto viene travasato in contenitori in vetro, legno, ceramica o terracotta di varie capacità oppure, se necessario, in confezioni monodose di plastica o di materiali composti, di capacità massima di 25 ml.   Se un aceto balsamico deve essere utilizzato nel campo professionale, la capacità minima dei recipienti è di 5lt oppure minimo 2lt se si tratta di recipienti in plastica.

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